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Come la giurisprudenza italiana in tema di cittadinanza italiana per discendenza si sta evolvendo nel tempo

Gli orientamenti più recenti della Corte di Cassazione in materia di cittadinanza italiana

Nuovi sviluppi giurisprudenziali in materia di cittadinanza italiana per discendenza

È risaputo che, fino al 1992, l’Italia non consentiva la doppia cittadinanza e la legge allora in vigore, la L. 555/1912, stabiliva che i cittadini italiani che emigrassero all’estero perdessero automaticamente la cittadinanza italiana nel momento in cui avessero ottenuto la nuova cittadinanza estera.

La legge sopracitata conteneva anche due norme che si riferivano ai discendenti degli emigrati: partendo dal fatto che la cittadinanza italiana si trasmetteva (e tutt’ora si trasmette) iure sanguinis, i figli di emigrati stranieri nascevano italiani, anche qualora nascendo all’estero ottenessero la cittadinanza dello Stato di nascita iure soli.

Ma se da un lato l’art. 7 della L. 555/1912 confermava questo principio, in quanto disponeva che i cittadini italiani nati e residenti all'estero, considerati cittadini di quel Paese iure soli, mantenessero la cittadinanza italiana a meno che non decidessero di rinunciarvi una volta adulti o emancipati, l’art. 12 di quella stessa legge disponeva che i figli seguissero automaticamente lo status di cittadinanza dei genitori, perdendo di conseguenza la cittadinanza italiana qualora il padre (o in casi particolari, la madre) si naturalizzasse.

Inoltre, è importante notare che le norme sopracitate sono spesso state utilizzate anche in quei casi in cui la naturalizzazione fosse intervenuta anche prima del 1912, ossia in vigenza del Codice Civile del 1865 (che non aveva una disposizione esplicita come l’art. 7, mentre aveva una disposizione, l’art. 11, che era direttamente trasponibile nell’art. 12 l. 555/1912), in quanto intese dalla giurisprudenza odierna come norme di interpretazione autentica della normativa più risalente.

Il contrasto tra queste due norme ha nel tempo richiesto l’intervento della giurisprudenza italiana, che, fino a tempi recenti, lo ha nella maggior parte dei casi risolto applicando il più favorevole articolo 7 della l. 555/1912 in quei casi in cui l’avo minorenne aveva già la cittadinanza dello Stato di nascita ius soli, nonostante la naturalizzazione del genitore. In caso il minore non avesse un’altra cittadinanza acquisita alla nascita, allora si applicava l’art. 12, e di conseguenza si interrompeva la linea di discendenza.

Con le ordinanze della Cassazione Civile n. 17161 del 15/06/2023 e n. 454 del 08/01/2024 però si è attuato un deciso scostamento dalla giurisprudenza, consolidata, precedente, in favore di un’applicazione generalizzata dell’art. 12 laddove il minore comunque avesse già una cittadinanza riconosciuta iure soli.        

È opinione della Corte di Cassazione in queste due ordinanze infatti che si debba applicare l’art. 12 in quanto ne ricorrono i presupposti, in forza del principio di unità familiare anche dal punto di vista della cittadinanza, riconoscendo in detto articolo l’intenzione del legislatore di tutelare l’unità della “cittadinanza della famiglia”.    

Questo ragionamento viene supportato, secondo la Corte, dal fatto che il minore, insieme al genitore, acquisterebbe la cittadinanza dello Stato di naturalizzazione del genitore stesso, anche qualora egli già la possedesse iure soli.

E ora?

In generale, chi voglia richiedere il riconoscimento del proprio status di cittadino iure sanguinis, qualora abbia nel suo albero genealogico un parente che si è naturalizzato con il discendente ancora minorenne, dovrebbe valutare attentamente l’opportunità di procedere alla richiesta come avrebbe fatto non più di un anno fa, ma piuttosto valutare e ricercare attentamente il proprio albero genealogico in modo da evitare questa problematica, o ancora meglio trovare un avo femmina nata prima del 1948, in modo da aprire le porte al riconoscimento giudiziale in forza della sentenza della Corte Costituzionale del 2009 relativa alla trasmissione della cittadinanza dal ramo femminile con antenata nata prima del 1948.

In ogni caso, è importante essere coscienti del fatto che in Italia non vale il principio del precedente giurisprudenziale, nonostante l’influenza che i precedenti possano avere, e che, nonostante queste due ordinanze si susseguano a distanza di poco più di 6 mesi, ciò non significa che vi sia stato in effetti un cambio netto di interpretazione da parte della giurisprudenza italiana, in quanto sono assai più numerose le comunque recenti ordinanze e sentenze della Corte di Cassazione che invece hanno riconosciuto lo status civitatis a coloro che avevano nella linea di discendenza un minore il cui genitore si è naturalizzato.  

Non resta che stare a vedere come si muoveranno le Corti italiane nel prossimo periodo e, nel mentre, essere pronti a sondare strade alternative, qualora fossero disponibili.

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